Il cuore, la materia
di Silvana Bonfili*
“Ricorda mio caro Sancho, chi vale di più deve fare di più.”
Miguel de Cervantes da Don Chisciotte della Mancia
C’è un bisogno in Piero Orlando, una spinta e un forte desiderio di tornare alle origini, le origini legate alla sua terra, il Molise, le discendenze familiari: i suoi avi, un nonno, gli zii, suo padre.
Lo fa attraverso l’arte.
In un’epoca complessa come l’attuale non è facile muoversi nell’impervio e a volte inospitale ambiente dell’arte contemporanea, o ci si è cresciuti fin da bambini o ragazzi, tra vernici e pennelli, scalpelli e terre crude nell’atelier di qualche familiare, o si è coltivata la passione da adolescenti frequentando i licei artistici o le scuole d’arte, le accademie e l’entourage artistico della propria città. Altrimenti l’impulso artistico, come nel caso di Orlando, viene coltivato interiormente quasi in sordina, per poi esplodere incontenibile quando, da uomo adulto, professionista affermato, sopraggiunge come una rivelazione sulla via di Damasco.
È il 2014 quando, con sua madre Maria, torna nei paesi di origine Fossalto e Ripabottoni; immergersi nella memoria familiare accende in Piero una luce del tutto nuova e inaspettata, ripercorre la storia di famiglia: la passione artistica del padre Antonio, del nonno Pietro e di suo fratello Hugo, in particolare quest’ultimo è stato fondatore del premio Termoli insieme al maestro Achille Pace, e ancora il bisavolo di Piero, Federico attore comico, scenografo, pittore e decoratore. Come in un gioco di riflessi il fascino esercitato dalla vena artistica dei suoi avi scatena in Orlando la necessità di seguire quella voce interiore.
Riemergono i ricordi di bambino quando vedeva suo padre, austero e autorevole magistrato amministrativo, cimentarsi nell’esecuzione di opere, ritrova gli oggetti, le foto di famiglia, i quadri di famiglia. Si delinea quindi per Orlando la consapevolezza che quel percorso intrapreso, quasi timidamente nel 2005 con le prime opere pittoriche figurative e proseguito con la sperimentazione della materia, non può essere più relegato nella sfera del dilettantismo, è la conferma che l’operare artistico è esigenza vitale, tracciato parallelo alla sua professione di avvocato. Indispensabile e necessaria diventa, a questo punto, la condivisione del cammino intrapreso con i propri cari, e Piero ha la fortuna di avere il sostegno e la collaborazione di sua moglie Claudia, storica dell’arte, che lo incoraggia e lo indirizza nelle scelte. Mentre i due figli Emanuele e Matilde vengono coinvolti, fin dalla tenera età, nella passione paterna attraverso la pratica in studio e a scuola, e la frequentazione dei luoghi dell’arte. La scelta della tecnica e dei materiali si palesa senza incertezze: sperimentare e saggiare la materia, perché si plasmi fino a trovare il senso dell’operare e del creare. Affinché la materia sia duttile e malleabile, si adegui e si trasformi, Orlando seleziona un legno multistrato, che sembra assecondare la tendenza al gesto artigianale di scalfire, levigare, sovrapporre, infine dipingere. È in questo modo che l’artista materializza un processo interiore, tecnica e materia delle sue opere come simbolo del proprio divenire e rinascere, la conferma di un’appartenenza ad un territorio e ad una stirpe si conferma attraverso un percorso di riappropriazione del proprio vissuto esistenziale, rielaborazione formale e cromatica di suggestioni, di luoghi e di memorie che si concretizzano in opere di grande solidità spaziale dove ricorrente è il richiamo alla natura. Un percorso emozionale che ricrea la mappa dei luoghi cari al cuore e alla vista, il paesaggio aspro e dolce, allo stesso tempo, dell’amato Molise, regione quasi costretta tra le altre confinanti che si apre, ad est, verso il mare Adriatico per un breve tratto di costa. Territorio, un tempo, dominato dai Sanniti “popolo di valorosi e indomiti guerrieri, dediti all’agricoltura e alla pastorizia che – come alcuni studiosi suppongono – avevano creato un ponte ideale, viario, commerciale e culturale tra i due Mari”. La particolare predisposizione di Orlando a socializzare lo porta a collaborare con grande armonia e entusiasmo anche nel lavoro artistico, e una volta conclamata l’adesione alla ricerca informale, la sua sperimentazione trova ulteriore senso nell’esperienza a quattro mani insieme a Fabrizio Di Nardo, denominata Officina Materica, con il quale a partire dal 2009 realizza due significativi lavori plastici esposti in due importanti rassegne. Nel 2010 l’installazione Ipocentro viene presentata alla Biennale Architettura di Venezia nell’ambito del Progetto E-picentro, ispirata alla tragica vicenda del terremoto di L’Aquila.
L’opera, dalla connotazione costruttivista, evoca l’emozione e il dolore della tragedia vissuta l’anno prima nella città capoluogo e in alcuni piccoli centri dell’Abruzzo, ma racchiude in sé il messaggio forte della ripresa e del rinnovamento. Quattro elementi orizzontali contrassegnati da cerchi concentrici si sovrappongono intersecati e sostenuti da quattro sottili strutture acuminate e piramidali. Elementi geometrici curvi e rettilinei si contrappongono in un contrasto di forza ed energia dirompenti, simbolo della terra trafitta e scossa, dove ancora vibrante e caldo si distingue il colore rosso ad evocare il sacrificio di tante vittime. Ma la prevalenza dei corpi geometrici e razionalisti che compongono la struttura inducono lo spettatore alla riflessione illuminista, al messaggio positivo mediato dalla sinergia tra diverse professionalità: architetti, artisti e studiosi. Tutti coinvolti in un simbolico progetto di “ricostruzione” realizzata non solo attraverso spazi e edifici tangibili ma intesa come rinascita collettiva, intreccio di relazioni e legami tra gli abitanti stessi e i luoghi della città ferita. L’opera Ipocentro, nel dicembre 2011, è stata donata alla Fondazione Roma presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele, e fa parte della collezione privata della Fondazione sita in Palazzo Sciarra. Altro progetto in collaborazione con lo studio Giammetta, e realizzato da Orlando e Di Nardo nel 2011 è Metalchemica installazione esposta a Roma nel 2011, prima a Palazzo dei Congressi, in occasione del Sens of Wine di Luca Maroni, in seguito presso Palazzo Venezia, in occasione della 54° Esposizione Internazionale di Arte Contemporanea Biennale di Venezia.
L’opera si presenta strutturalmente complessa e composta da più elementi: predominano volumi compatti di grandi proporzioni, strutture geometriche solide e gigantesche, contraddistinte dai motivi materici che risaltano nei toni cromatici del grigio e del nero. Mentre il colore rosso, che in questo caso ha perso la drammaticità dell’installazione precedente, riluce dal magma ribollente del parallelepipedo a terra e si riflette nei tre cerchi del grande pannello metallico sovrastante, di chiara ispirazione orientale. Il titolo stesso dell’installazione ci introduce nella magia e nel significato profondo dell’arte, che si compone sì di elementi misteriosi e alchemici ma è in realtà un prodotto manufatto opera dell’uomo che forgia manualmente la materia, come un fabbro nell’officina dei metalli. Nel ciclo denominato Geometrie nuove gamme cromatiche animano i paesaggi interiori di Orlando, e la serie di opere a parete sono realizzate con una rigorosa organizzazione razionale, risultato di una ricerca spaziale verso cui l’artista tende attraverso la reiterazione quasi rituale delle forme geometriche.
Queste prendono corpo dalla materia stessa e dal colore: a volte le geometrie che si elevano dalla superficie bianca sono monocrome, in altri casi si alternano con cromie contrastanti dai toni caldi, così acquistando un valore autonomo da vere protagoniste della composizione. La superficie in multistrato sapientemente lavorata, l’impasto materico delle forme, compongono con ritmo quasi musicale un universo di straordinaria consistenza spaziale densa e vibrante.
*Silvana Bonfili
Curatrice storica dell’arte presso la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, fin dal 1980 ha ricoperto incarichi di responsabilità come curatrice in alcuni tra i più importanti musei del polo Museale Capitolino Musei in Comune. E’ stata curatrice presso il Museo di Roma, la Galleria d’Arte Moderna di Roma per la quale ha curato e organizzato la Sezione Didattica e numerose mostre e pubblicazioni (1996/1999-2002-2006). Curatrice delle collezioni e delle mostre, responsabile della Sezione Didattica presso il MACRO, Museo di Arte Contemporanea di Roma (2000-2002), ha curato e organizzato numerose mostre e iniziative culturali e scientifiche. Dal 2007 è stata responsabile del Museo e dell’Archivio della Scuola Romana presso Villa Torlonia, per i quali ha curato numerose mostre e pubblicazioni. Dal 2012 è responsabile del Museo di Roma in Trastevere per il quale cura e coordina le numerose attività espositive, culturali e le pubblicazioni che si realizzano.
La-geografia-interna-di-Piero-Orlando di Michele Porsia
Un artista, un moderno mecenate, un pensatore, un progetto e due provocazioni
Capitano Antonio Marinelli
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Piero Orlando e la materia – e il materiale – del fantastico
La materia del fantastico, quella concretezza shakespeariana che è base e ancora dei sogni. È la solidità dell’idea e dell’intuizione, più ancora della suggestione poetica, il cardine della ricerca di Piero Orlando, che “scava” il reale deciso a raggiungerne il cuore, per rintracciarne i palpiti da tradurre poi in volume. Non c’è levità nelle sue albe, tantomeno leggerezza nelle sinuose curve, ma la plasticità di un orizzonte che vuole essere scolpito dallo sguardo, afferrato e modellato a farsi “finito”, libero dal peso dell’immenso per essere finalmente percepito e percepibile dall’uomo nella possente acquisizione – concettuale – della totalità, che è “costruzione”. Ecco cosa attira l’attenzione dell’artista: la possibilità di definire il campo di battaglia del sentimento, fatto di calore, densità, materia appunto e materiale. L’emozione acquista un corpo di terra, legno, sabbia, polvere. Il brivido è terremoto e crepe. Lo spazio rimane abisso ma trova riparo nella fermezza dell’approdo, isola all’incerto vagare. Il possesso è assoluto: ad occhi chiusi, la terra parla per come è stata inventata, stabilendo un contatto con la carne che giunge, paradosso, dritto alla testa in un gioco di visioni e sollecitazioni. Basta chiudere gli occhi per “sentire” l’universo. Basta stringere le mani per plasmarlo. È forse nell’immobile ammirazione l’unica reale fantasia dell’uomo, che si estranea dal creato per farsene adorante spettatore.
Dr. Valeria Arnaldi
Giornalista e scrittrice
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Fondazione Roma Mediterraneo
Cari Di Nardo e Orlando,
sono io che ringrazio Voi per aver voluto donare alla Fondazione Roma la splendida opera “Ipocentro”, realizzata per la Biennale di Architettura di Venezia con la collaborazione dello studio Giammetta & Giammetta.
Si tratta di un’opera di forte impatto emotivo, esteticamente pregevole, originale per foggia, concezione e materiali, nonché (e soprattutto) portatrice di un messaggio importante, che intende reinterpretare il dolore ed il mutamento – anche catastrofico – nel senso di un dinamismo costruttivo e di una sicura rinascita.
Sono pertanto davvero felice che questa Vostra realizzazione abbia trovato una sua collocazione stabile a Palazzo Sciarra, nella sede della Fondazione Roma che da anni presiedo tentando di farne – per utilizzare le Vostre parole, che sono anche il mio motto – la fucina privilegiata di quella “energia pulita” che oggi, nel nostro Paese, è rappresentata preminentemente dall’Arte e dalla Cultura.
Nell’auspicio di poter continuare in futuro la nostra feconda collaborazione, l’occasione mi è gradita per ricambiarVi i migliori auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo.
Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele
Presidente Fondazione Roma
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La poetica di Ipocentro
Una serie di piani emozionali che generano da un blocco unico frammentato e scomposto dalla vibrazione del mondo.
Strati sospesi, sensazioni, stati d’animo, il muto silenzio del dolore collettivo.
Cuori sospesi, smarrimento, distacco.
Architettura responsabile in quanto strumento di protezione e sostegno dell’umano abitare.
Il sisma in se non è male ma male è, a volte, il crollo di un costruito irresponsabile.
Arte per la memoria perché l’opera può trasformare anche il dolore, fissandolo nel tempo, cambiando il suo colore.
Architetto Marco Giammetta
Giammetta e Giammetta Architects
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Ipocentro in un viaggio emotivo verticale
Le scosse generano domande, le risposte sono un principio di ricostruzione. L’arte, a suo modo, cerca un passaggio per dare nuovo senso al mondo che crolla e a quello che sopravvive.
Ipocentro è l’opera pensata e realizzata da Piero Orlando e Fabrizio Di Nardo di Officina Materica, per creare un varco nella violenza della Terra, nel trauma del lutto, nell’eco acuto della rabbia, e allo stesso tempo per incoraggiare con la luce e la solidità delle assi portanti, la ricostruzione.
Un anno e mezzo dopo il terribile terremoto de L’Aquila, la Biennale d’Architettura di Venezia dedica uno spazio di riflessione ed arte per spingere lo sguardo nel baratro di una regione monca e sgomenta.
Cosa viene dopo e cosa sarebbe successo se? Non è la terra che trema a farci del male è il Paese instabile, l’architettura approssimativa, la mala politica a fare vittime. È il palazzo che cade che uccide, non il terreno che da milioni di anni si modifica.
Ipocentro è il piano che si piega, che crolla su sé stesso, è voragine che inghiotte il suo vuoto. In quella voragine è caduto un Paese, ma ruotando attorno alla prospettiva distorta di una realtà alterata e distrutta possiamo scegliere la via d’uscita, ripensare un inizio.
I colori e le ombre di Ipocentro conducono ad un viaggio emotivo verticale. Dal basso verso l’alto e ritorno.
Giù fino in fondo alla Terra, nel pozzo delle emozioni oscure, incerte, taglienti. Da lì un cono di luce promette la risalita, offre un respiro, una nuova visione.
Oltrepassare il confine del proprio centro apre uno scenario inedito in cui spesso trovano posto gli altri. Chi soffre e chi salva.
Secondo Piero Orlando “L’ispirazione artistica si è manifestata prepotente e incontenibile e ha preso forma in un’opera slanciata, libera e potente, ove la struttura pesante del blocco viene frammentata e scomposta in quattro livelli diversi, sorretti e protetti da quattro elementi portanti, scalpellati e dipinti a creare un effetto metallico. Sono i pilastri di un costruito responsabile sopravvissuto al disastro, simbolo della buona Architettura che assorbe, attrae e coagula intorno a sé l’energia e la materia, per sorreggere e guidare l’uomo verso la speranza di vita e la fiducia in una sicura rinascita.”
L’arte è un linguaggio che si esprime con parole mute, per metafore e suggestioni arriva dove, a volte, la coscienza non osa spingersi.
Raccontare le tragedie è un’esperienza complessa e scivolosa, ma quest’opera materica costruita con schegge, ferite, mancanze ed equilibri, dice tutto quello che aspettavamo di sentirci dire.
Parla della nostra vulnerabilità di uomini e di fabbricanti, parla di forze oscure e dominanti, parla di un vuoto che ci inghiotte, della nostra inquietudine e di quella altrui, che per paura vorremo negare, parla di dei silenti e di una tenace resistenza.
Il centro su cui si appoggia la capacità di resistere è il punto di equilibrio che contesta la resa.
È quel sostegno la prima risposta, il nuovo inizio.
Dr. Alessandra Grandi
Giornalista e scrittrice
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La dignità dell’artista sta nel suo dovere di tener vivo il senso di meraviglia nel mondo (Gilbert Keith Chesterton)
Ed è proprio di meraviglia che si parla quando si viene a contatto con le opere di Fabrizio Di Nardo e Piero Orlando: opere materiche, come si suol dire. Ma in realtà cosa si vuol dire? Che sono pezzi nati da una materia allo stato “grezzo”, il legno, decisamente naturale, che viene lavorato scheggiato plasmato tagliato segmentato scrostato dipinto annacquato colorato per farne un’opera carica (inevitabilmente, dopo tutti questi passaggi) di meraviglia… meraviglia perché non vogliono necessariamente rappresentare qualcosa di (già) visto, di corrispondente al reale, forse che gli assomiglia, forse, ma in ogni caso fuori dagli schemi…
Quando parli coi due artisti ti dicono proprio questo: che quando si trovano davanti alla tavola di legno l’ispirazione è legata al momento, non c’è premeditazione, c’è (forse, ma non sempre) un sentimento legato al vissuto che passa e si protrae al momento del fare artistico. È un po’ come se in potenza sulla tavola fosse già presente tutto, l’artista ha solo il compito di tirarlo fuori (michelangiolesca memoria!).
I due hanno formazioni diverse, background differenti, soprattutto non vicini all’arte nel senso più canonico del termine, ma tutto questo non conta perché la passione per l’arte è un qualcosa che sta dentro, che cova finché non esplode e qualcuno la fa uscir fuori, in forme e modi differenti, ognuno seguendo la propria personalissima inclinazione.
L’amicizia che lega Fabrizio e Piero ad un certo punto porta ad un (ulteriore) punto d’incontro, la “matericità” (si passi il termine) dell’arte e da qui l’idea di creare “Officina Materica” che dà realmente l’idea di quello che i due fanno: il luogo dove creano sembra appunto una vera e propria officina, un laboratorio, in realtà (come capita a tanti artisti metropolitani contemporanei) un garage ritrasformato, con gli attrezzi del mestiere tutti a portata di mano e un gran caos in giro che dà il senso dell’impeto e impulso creativi!
Il gesto primitivo avviene sulla tavola nuda di legno (la materia prima) con uno scalpello ed è gesto puro, per cui anche questo lasciato all’improvvisazione, nonché al puro caso, pur (forse?) con una vaga idea iniziale di dove si voglia andare a parare (leggi: di cosa si voglia andare a rappresentare).
Molto di questo legno scheggiato è lasciato vivere col suo colore puro, originario, naturale; molto altro è invece dipinto colorato con pennellate di colori acrilici che hanno in sé la dote di fornire un effetto di intensa luminosità e poi, in base a quante pennellate e quanta quantità di colore viene steso, creano dei veri e propri strati di materia sul legno: materia viva su materia viva… a tutto questo spesso si aggiunge, nei lavori di entrambi, l’utilizzo di un altro elemento naturale per eccellenza, la sabbia, che viene distesa distribuita spalmata con abbondanza o parsimonia, semplicemente a gusto dell’artista!
Il risultato di tutto questo lavorio è un’opera che devi guardare e contemplare muovendoti intorno ad essa, lasciandoti avvolgere, guardando gli strani effetti che le luci creano con le diverse materie, coi diversi accostamenti di colore e materia assieme, osservando le ombre che la corposità della pennellata o il grumo di sabbia o il semplice gesto istintuale della mano dell’artista hanno creato.
Ed è proprio questo gesto istintuale e casuale e primario colpisce e si trova (secondo chi scrive: felicemente) in contrasto col mondo tecnologico e meccanico attuale che poco lascia all’atto manuale e creativo dell’individuo!
Dr. Maria Pia Comite
Registrar – Scuderie del Quirinale
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